CENNI STORICI
L’oratorio dei Santi Vito e Modesto si presume facesse parte, dalla fine del ‘300, di un monastero di frati che, a causa di pestilenze e guerre, sarebbe progressivamente rovinato. Pensò la famiglia Bembo di Venezia a riedificarlo a proprie spese nel 1544, acquisendone il giuspatronato. Si trovava in faccia al mare e vi si celebrava la messa di domenica e in alcune feste, in particolare in quella titolare dei martiri Vito e Modesto: il 15 giugno. Successivamente, nel 1595, venne riedificato in luogo meno esposto alla furia dei marosi sopra l’argine in faccia alla laguna dal canonico Carlo Antonio de Rossi, con un ospizio annesso. Si trovava in questo oratorio cinquecentesco l’immagine della Madonna del Carmine che poi divenne celebre in occasione dell’apparizione e fu trasferita solennemente nel santuario, sorto nelle immediate vicinanze, il 30 Maggio 1723. Quindi il piccolo oratorio venne demolito e la devozione continuò grazie all’immagine della Madonna del Carmine passata nel santuario.
L’origine dell’immagine sacra è avvolta in un alone leggendario. La tradizione vuole che una sera un pellegrino giunto a Pellestrina, non trovando più mezzi di locomozione per riprendere il suo viaggio, abbia ottenuto cortese alloggio da una donna del luogo, che per di più al mattino non volle alcun compenso per il pernottamento. Il pellegrino chiese allora alla donna se avesse a disposizione qualche tavola per dipingervi un’immagine sacra da lasciare come sdebito. La donna consegnò il tondo di una botte, su cui in breve tempo il pellegrino dipinse la Vergine con lo scapolare del Carmelo, seduta, con il Bambino a sua volta seduto sul ginocchio destro, e ai lati i santi Vito e Modesto in piedi con la palma del martirio. Non si sa per quanto tempo la donna abbia conservato in casa quella tavola dipinta. Si sa che essa fini nell’oratorio di S.Vito affacciato alla laguna. Solo che nel 1728, per adattarla all’abitacolo sovrastante l’altar maggiore nel santuario, venne decurtata delle figure laterali dei Ss. Vito e Modesto, che andarono perdute. Nel Luglio 1953, a ridosso dei lavori di restauro nel santuario, si scavò nel piazzale antistante per trovare le tracce dell’antico oratorio di cui era rimasta solo la memoria. Lo scavo riuscì fortunato: negli strati bassi del suolo, venne scoperto l’intero perimetro dell’oratorio che aveva conservato per circa 130 anni l’immagine della Vergine, celebre per il movimento degli occhi; e fu individuato il punto nel quale la Vergine stessa aveva sostato, apparendo a Natalino Scarpa. Rifatta la pavimentazione nell’attuale sagrato, anche oggi il visitatore può scorgervi il perimetro dell’antico oratorio (M 6,37*4,37) evidenziato da liste di marmo bianco, mentre una scritta ricorda: DELIMITAZIONE DELL’ORATORIO DEI SANTI MARTIRI VITO E MODESTO ERETTO NEL 1595 DEMOLITO NEL 1723.
E lì accanto, a destra per chi guarda, a est una lapide di marmo bianco (Cm 33,5*62), benedetta nel 1966 dal vescovo Piasentini in occasione del 250° anniversario dell’apparizione, recita: QUI APPARVE MARIA SANTISSIMA IL 4 AGOSTO 1716 A NATALINO SCARPA DEI MUTI.
La lapide fu collocata esattamente nel luogo dove si era scoperto un mattone in pietra cotta, che sin dall’inizio contrassegnava il punto esatto della sosta della “Signora” la mattina del 4 agosto 1716.
Accanto a quest’oratorio, appunto nel santuario, officiò come mansionario Natalino Scarpa, il veggente, dall’11 maggio 1735 al 25 agosto dello stesso anno. Infatti si era fatto ordinare sacerdote nel 1725; e trascorse la vita in umiltà, passando gli ultimi anni nell’infermità, consolato dall’incanto della vastità del mare e dal ricordo indelebile della celeste apparizione. La sua salma riposa in coro, sotto l’arcone della chiesa di Ognissanti, dov’è fissata sull’arca a pavimento una lapide commemorativa, degna della sua modestia.
L’APPARIZIONE
Il martedì 4 agosto 1716, festa di San Domenico, verso le sei del mattino, un ragazzo di nome Natalino Scarpa Di Giovanni detto il Muto, dell'età di circa 14 anni e mezzo, mentre si recava alla chiesa parrocchiale di Ognissanti, passando davanti al tempietto dei Santi Vito e Modesto, che conservava anche un antico dipinto raffigurante la Madonna del Carmine, vide una donna sconosciuta, bassa di statura, piuttosto anziana, in piedi sul lato destro della chiesetta. La "Signora" vestiva un abito azzurro, trapunto di stelle rosse, che le arrivava fino ai piedi e aveva il capo coperto da un velo bianco che le giungeva sotto le braccia; il volto era pallido, le gote bianche, l'aspetto schietto senza ornamenti di sorta, lo sguardo preoccupato.
La chiesetta era chiusa e la donna era lì accanto: faceva cenno con la mano che il ragazzo si avvicinasse perché doveva dirgli qualcosa: "Vien qua fio - gli disse - va' dal Piovan e dighe che faccia celebrar delle messe per le anime del Purgatorio, se volemo aver vittoria, e portime la risposta; e telo digo a ti perchè ti xe degno".
E con la mano destra, quasi a rassicurarlo e a confermarlo della realtà della visione, gli toccò il polso sinistro, trattenendolo con affetto per qualche istante. La dettagliata descrizione, riferita direttamente dal ragazzo, dimostra quanto fosse rimasta impressa nel giovinetto quell'immagine: "assomigliava - ricorda ancora Natalino - alla mamma del mio maestro (il sacerdote Antonio de Ambrosi), specie nello sguardo; ma non era certamente lei, poiché di statura bassa e vestita diversamente". Natalino era solo e stava recandosi alla chiesa di Ognissanti per accompagnare il rito dell'amministrazione della Comunione a tre infermi: nessun altro tranne lui può aver visto quella donna.
La guerra contro i Turchi
Era il periodo della guerra contro i Turchi, che proprio in quei giorni sembravano aver la meglio sulla flotta veneziana e sugli alleati in Ungheria.
Nel dicembre del 1714 il gran visir ottomano convocò il bailo di Costantinopoli Andrea Memmo per informarlo che, a causa di alcuni recenti incidenti nel Montenegro e dell'intercettazione di una nave turca nell'Adriatico, il suo signore aveva deciso di dichiarare la guerra. La Morea fu riconquistata nel giro di pochi mesi. Divenne ben presto chiaro che la posta in palio era, nelle intenzioni dei Turchi, molto più alta: l'attacco a Venezia stessa.
Il pericolo era grande. Il Senato ordinò che rimanessero sempre aperti tutti i santuari mariani della Repubblica ed esortava il popolo alla supplica. Infatti, i Turchi, si diressero verso la fortezza che era considerata la vera e propria porta dell'Adriatico: Corfù. Se i Turchi l'avessero conquistata, a Venezia non sarebbero rimaste che ben poche speranze. Corfù era allora una chiave decisiva della lunghissima guerra contro i Turchi. Il gran visir inviò, nei primi mesi del 1716, contro Corfù un esercito di trentamila uomini, senza dubbio superiore alle forze veneziane. A difesa dell'Isola, Venezia poteva contare sull'abilità di uno dei più intelligenti capitani del tempo, Johann Matthias von der Schulenburg.
L'assedio durò per tutta la prima parte dell'estate 1716, fino a quando giunse ai Turchi la notizia della sconfitta di Petervaradino ad opera del leggendario Principe Eugenio di Savoia.
La battaglia di Petervaradino si svolse il 5 agosto del 1716, il giorno dopo che una Donna sconosciuta era apparsa ad un ragazzino di quattordici anni a Pellestrina ed aveva detto di far dire delle Messe per le anime dei morti, "se volemo aver vittoria". La coincidenza è impressionante! E la fortezza di Petervaradino costituiva una vera e propria chiave di volta per la riconquista di Belgrado e il recupero all'area di influenza occidentale di questa parte dei Balcani. Attualmente Petrovaradino è un sobborgo della grande città di Novi Sad in Serbia ed esiste ancora la fortezza che è stata oggetto della contesa vinta da Eugenio di Savoia.
La notizia della sconfitta di Petervaradino spinse il comandante turco dell'esercita di Corfù a rischiare il tutto per tutto. Infatti, nella notte del 18 agosto i Turchi sferrarono l'attacco decisivo. Schulenburg corse ai ripari mobilitando tutte le forze. Ma dopo sei ore la lotta era ancora incerta e nessuno riusciva ad avere il sopravvento. Allora Sculenburg ebbe il colpo di genio: decise una sortita di sorpresa e con 800 picchieri uscì da una piccola postierla ed attaccò alle spalle un'ala dell'esercito turco. I Turchi si videro presi alle spalle e, temendo di essere presi prigionieri, si diedero ad una fuga precipitosa.
La notte successiva un aiuto imprevisto venne letteralmente dal cielo per i Veneziani: un terribile temporale devastò il campo turco e molte navi, rotti gli ormeggi, andarono a fracassarsi le une sulle altre. All'alba i Turchi rimasti decisero di togliere il campo e di abbandonare quell'isola "dove regnavano, dissero, dèi ostili".
La notizia si diffonde
Natalino tentò di liberarsi subito di quello strano e travolgente segreto, cercando di comunicarlo a don Angelo Busetto, il cappellano che camminava parecchi passi avanti in quella mattina di agosto, anche lui diretto alla chiesa parrocchiale; ma, raggiuntolo di corsa, non riuscì a parlargli. Qualcosa glielo impediva, come un soffio di vento che gli chiudeva la bocca, mentre avvertiva una sorta di intirizzimento con lievi punzecchiature sulla guancia e sulla mandibola - così narra direttamente Natalino, deponendo al Processo.
Giunto alla chiesa parrocchiale raccontò tutto al pievano don Paolo Zennaro, che rimase stupito della dettagliata narrazione e, dapprima esitante sul valore dell'evento, tanto da porre più domande al ragazzo e da fargli ripetere più volte il racconto, per rasserenare lo stesso giovane fece infine cenno di aver compreso e raccomandò a Natalino che riferisse pure a quella donna - chiunque ella fosse - che aveva assolto al suo compito.
Tornato a casa il ragazzo raccontò l'avvenimento a sua madre per prima, e poi ad altre donne che l'interrogavano e volevano sapere del prodigio. Natalino, infine, preferì non raccontare più niente a nessuno: s'era stancato - confessa egli stesso - di dover ripetere la stessa cosa a tante persone curiose. Si recò allora a scuola pensando che tutto sarebbe finalmente finito. Natalino, soddisfatto della missione compiuta, si accingeva ora a svolgere le sue mansioni nell'accompagnare il rito della distribuzione della Comunione agli infermi, pensando che lungo il tragitto, che l'avrebbe condotto nuovamente accanto alla chiesetta di S. Vito, avrebbe potuto confermare alla donna - se ancora era là - che aveva assolto al suo mandato. Arrivato nei pressi della chiesetta non vide la donna che gli aveva parlato poco prima ma, ancora una volta, sentì un soffio di vento sulla guancia e sull'orecchio.
Venne intanto a sapere che una donna, tale Maritta Furlana, aveva già cominciato a raccogliere offerte per assolvere all'invito celeste di far celebrare delle messe per le anime del Purgatorio, come aveva chiesto la misteriosa Signora. Un compagno di scuola propose a Natalino di andare insieme ad aiutare quella donna volonterosa. Riuscirono a raccogliere un bel gruzzolo, e, senza nemmeno contarli, portarono i soldi al Pievano: erano 17 lire e mezza, assicurò don Paolo nella sua testimonianza.
Nel frattempo due donne - una portava il nome di Laura - avvicinatesi alla porta ancora chiusa del tempietto, sul cui sagrato era avvenuta la visione, esclamarono che attraverso la toppa della serratura avevano intravisto l'antica immagine della Madonna del Carmine muovere gli occhi.
Natalino, che era lì accanto, non riuscì a vedere il prodigio asserito da quelle donne, ma con lui c'erano molte persone che avevano sentito del fenomeno, e in molti si avvicinarono all'uscio per tentare di vedere.
Il giovane Natalino incontrò tra la gente anche il santolo Bara Fisolo, che sosteneva decisamente non si dovesse prestare fede a quelle chiacchiere sul movimento degli occhi; ma anche costui volle togliersi la curiosità. Avvicinatosi alla porta, guardando attraverso la toppa, dovette invece ammettere, proprio lui, il più scettico, che qualcosa di straordinario si era verificato. "Adesso credo - esclamò - perché ho visto!". Quest'altro particolare prodigio introduce un elemento del tutto nuovo nella storia dell'Apparizione della Vergine a Pellestrina. Entra in scena infatti il "quadro della Madonna".
Per tutto il giorno - in quell'assolato 4 agosto - fu un via vai di curiosi e di pellegrini che venivano a vedere il luogo della straordinaria manifestazione celeste, il luogo dell'apparizione e l'immagine della Madonna custodita nella chiesetta. che intanto era stata aperta alla gran folla dei fedeli. Proprio sul movimento, sull'apertura e chiusura degli occhi, si dovettero registrare parecchie testimonianze. In particolare se ne conservano altre di quel giorno stesso.
Passavano infatti dalla laguna verso le 16.00 alcuni pubblici ufficiali che stavano compiendo in barca un sopralluogo ai forti di San Pietro in Volta e di Malamocco, e poi al Castello di Chioggia e a quello di Brondolo. Erano a bordo l'ufficiale di milizia Antonio Pretti, sovrintendente di Artiglieria del Provveditorato ai Lidi, Bartolomeo Erizzo, con il Sig. Biron, Maggiore dei bombardieri e il cameriere del Pretti, Giacomo Ferro. Come lo stesso Pretti ebbe a deporre l'anno seguente presso la Curia Vescovile di Brescia (città dove allora abitava) su richiesta della Curia di Chioggia, i tre, giunti all'altezza della chiesa di S. Vito, videro una gran folla e si domandarono il motivo di tanto trambusto. Chiesta spiegazione ad alcuni barcaioli e pescatori, il Pretti brontolò contro quella che egli riteneva creduloneria del popolino. Ma fece comunque fermare e attraccare la barca. Il sovrintendente entrò, e, spinto dal raccoglimento che ispirava quel luogo, si mise a pregare. Iniziò poi anche lui a vedere quell'immagine della Madonna dipinta su tavola ad occhi aperti con in braccio il Bambino, ora chiudeva l'occhio destro e così faceva con l'occhio sinistro, che si chiudeva però soltanto a metà. Anche gli altri che erano entrati con lui erano testimoni del fatto straordinario. Tutto questo, nei minimi particolari, il Pretti dichiarò nell'interrogatorio canonico del 16 febbraio 1717.
E narrò anche come quell'avvenimento straordinario cambiò in meglio la sua vita.
Ma anche molte altre persone del luogo avevano potuto ammirare il prodigio. Donna Rosada, Floria Busetto e Maddalena Nera, ma anche molti uomini che precedentemente si erano dichiarati increduli: il bottegaio Vianello Pietro, il pescatore Domenico Scarpa, Domenico Vianello. Dalla laguna erano giunti anche altri: un certo Giacomo Renier di Chioggia, Vincenzo Boscolo detto Tetozzo.
Nella serata, verso le 23, il Parroco don Paolo Zennaro si recò presso la chiesetta. All'arrivo del Pievano, la gente che ancora affollava la chiesetta sostando in preghiera, cominciò ad uscire, ma più di qualcuno non poté fare a meno di rivolgersi a don Paolo per narrare i fatti straordinari ai quali aveva assistito.
Fu una giornata davvero memorabile per l'Isola: Pellestrina da allora ricorderà sempre quel 4 agosto con grande solennità, come una data decisiva per la propria fede e la propria storia.